Le tecnologie del DNA ricombinante permettono di affrontare problemi pratici come la produzione, in cellule batteriche o eucarioti, di grandi quantità di molecole che scarseggiano o sono assenti in natura, con lo scopo di trattare particolari malattie umane. Oltre alla produzione di proteine terapeutiche, il DNA ricombinante si può utilizzare anche per la generazione di anticorpi monoclonali, vaccini e per curare malattie genetiche.
Le proteine terapeutiche isolate da tessuti animali o umani possono essere utilizzate per compensare carenze congenite nell’uomo. Solitamente il DNA ricombinante si utilizza quando non si dispone di abbastanza tessuto umano (proveniente da un individuo deceduto) da cui estrarre le proteine. Le proteine si possono anche estrarre dal sangue di un donatore. Molte proteine, inoltre, sono presenti nelle cellule eucariote solo in piccole quantità.
Le proteine animali (quale l’insulina estratta dal pancreas del maiale) spesso scatenano reazioni immunitarie (sono specie-specifiche) e non sempre è possibile dare loro una conformazione umana; inoltre spesso possono veicolare agenti patogeni.
Anche le proteine estratte da corpi umani possono arrecare danni: ne sono esempio i bambini con nanismo curati con il G.H. dell’ipofisi dei cadaveri spesso sviluppano la malattia di Creutzfeldt Jakob, oppure gli emofiliaci che contraggono AIDS a causa di trasfusioni di sangue infetto.
Le fermentazioni industriali
Il primo esempio di efficace produzione industriale di proteine terapeutiche si ebbe durante la Seconda Guerra Mondiale, nella quale vennero impiegate innovative tecniche di fermentazione per produrre la penicillina della muffa allo scopo di combattere le infezioni (la “Muffa Penicillum” venne scoperta da Fleming nel 1928).
Anziché partire da strati di penicillina creati all’interno di piccole bottiglie si utilizzarono dei fermentatori o bioreattori: al loro interno, mediante la somministrazione di un mezzo nutritivo e una corretta aerazione, oltre che mantenendo la corretta temperatura, i microorganismi proliferavano molto rapidamente.
Dei metodi per aumentare le rese e ottenere quantità di farmaco sufficienti sono il controllo della crescita e l’impiego di sostanze mutagene allo scopo di ottenere mutanti più produttivi.
Proteine terapeutiche ottenute grazie all’ingegneria genetica
Con i batteri coltivati in fermentatori si possono ottenere proteine umane pure. Le operazioni di estrazione e purificazione avvengono su scala molto grande. Le proteine così prodotte riducono al minimo il rischio di reazioni immunitarie (la struttura primaria è identica a quella delle molecole naturali umane), inoltre non vi sono patogeni virali umani in quanto le coltivazioni sono controllate. La produzione avviene mediante DNA ricombinante: farmaci, batteri o eucarioti contenenti il DNA del gene di interesse vengono posti nei fermentatori. Qui avviene una divisione rapida delle cellule (l’Escherichia coli raddoppia ogni 20 minuti): vengono così prodotte miliardi di altre cellule in grado di sintetizzare la proteina specifica fino a metà del proprio peso.
Con la coltivazione di microrganismi che secernono la proteina eterologa (ovvero che normalmente non verrebbe espressa) si semplifica inoltre la successiva estrazione e purificazione della stessa.
Presenti attualmente sul mercato farmacologico sono: insulina, ormoni, fattori di coagulazione e di crescita, interferone, vaccini, ecc…
L’utilizzo di batteri comporta alcuni problemi: innanzitutto, vi sono differenze tra procarioti ed eucarioti, ad esempio non riconoscono i segnali di regolazione della trascrizione degli eucarioti, inoltre durante la trascrizione stessa, essi non eliminano gli introni. I batteri non fanno la glicosilazione, ovvero la transizione delle glicoproteine ad una forma tridimensionale funzionante.
Le soluzioni a questi problemi si possono risolvere con l’utilizzo di cDNA, di organismi eucarioti quali lieviti (“S.cerevisiae”) e cellule di mammifero (rendimenti più bassi), oppure tramite una tecnica combinata: i geni clonati nei batteri vengono poi trasferiti alle cellule di mammifero (ad esempio l’attivatore tissutale del plasminogeno, il quale scioglie i trombi e quindi contrasta un infarto).