Nell’ “apoteosi di Omero” abbiamo il massimo esempio della concezione Neoclassica del pittore francese. Di grande solennità e magniloquenza, l’affollata composizione ricorda la raffaellesca Scuola d’Atene.
Davanti alla facciata di un tempio ionico esastilo, su un piedistallo siede Omero, incoronato dalla Vittoria. Sedute sotto di lui si trovano le personificazioni dell’Illiade e dell’Odissea, il cui aspetto è stato desunto dalle sibille michelangesche della cappella sistina.
Il poeta greco è circondato da Grandi: in alto quelli antichi ed in basso quelli più recenti. Due personaggi fanno eccezione, ovvero Raffaello, tenuto per mano da Apelle, e MIchelangelo, i quali sono collocati tra i primi. Dante, a sinistra, è accompagnato da Virgilio, in una posizione intermedia tra gli uni e gli altri. In basso Molière e Proussin guardano lo spettatore, indicandogli Omero, affinchè venga preso come esempio.
Omero è visto come una divinità, infatti a lui è dedicato il tempio alle sue spalle. La divinizzazione del poeta è sottolineata dal fatto che ogni personaggio gli reca un dono: Dante la Commedia, Pindaro la sua lira, ecc…
Tutti compiono un gesto o un movimento, nessuno è fermo, ad eccezzione dell’immobilità di Omero, che in questo modo si distingue dagli altri. Il suo divino isolamento è esaltato dallo spazio vuoto che ha davanti, coincidente con le linee prospettiche che, seguendo gli spigoli dei gradini, delimitano inferiormente il dipinto. Il punto di fuga coincide con lo sgabello su cui Omero poggia i piedi. Questi, accuratamente studiati, sono prospettici e rispettano lo schema della prospettiva centrale.